mercoledì 26 novembre 2014

Ascolto

E spezza,
E si infrange,
Il mare in tempesta,
Su gocce cadenti avorio.

Mille luci sospirano,
E altrettante respirano,
Voci,
Caduche voci.

Una campana suona.
Suona ciò che le piace,
Come ogni bocca,
Parla ciò che parola adora.

In silenzio ascolto.
Ascolto creste bianche,
Ascolto luci negli occhi,
Ascolto vibrazioni al cuore.

D.G.

domenica 16 novembre 2014

Se fossi Arturo

E ora come scrivo?
Non ne ho idea. Mi trovo in questo squallido hotel con le mura tinte di rosa e la vernice che cade a pezzi mentre un caldo soffocante mi prende la gola.
Nel frattempo dall'altra parte della parete il vociare di alcune puttane si fa avanti fino a rendersi talmente chiaro da sentire ogni respiro, ogni alito di orgasmo.
Il proprietario dell'hotel alla meretrice di turno:
-Dai, fammi entrare, ti abbono l'affitto di questi tre mesi basta che mi fai stare bene..-
Lei:
-ma perché? ho detto che ti pago, non ora, ma ti pago! Inoltre poi fra poco devo partire, quindi mica voglio scappare senza pagarti-
Lui:
-senti Sudamerica, non posso lasciarti andare senza i miei soldi, lo sai. E poi ti ho detto che ti amo, io davvero, ti amo! Voglio renderti la madre dei miei figli.-

E così via per ore e ore. Letti che cigolano e calore che da alla testa. Urla e odore di muffa. Possono essere le 2 o le 4 del mattino, nulla cambia, tacchi a spillo che a pochi metri dal mio letto fanno avanti e indietro da stanza e stanza. E dopo ogni porta che sbatte, un letto cigola; matematico.

Alle volte mi sembra di fare a gara con Arturo Bandini, mi manca solo essere al primo piano, con una veranda che da sulla strada di una Los Angeles di inizio secolo ed avere una cameriera messicana al mio seguito.
Fanculo che strage, sembra la vita di un film ma un film non è. Non hai tempo di cominciare a battere un articolo che è già notte fonda e hai gli occhi che tendono a chiudersi fino a farti male per la poca luce che esce dal monitor del pc. Fanculo nuovamente. I pensieri poi è prassi, si rimbalzano nel cervello per trovare risposte a domande che sinceramente non so nemmeno se voglio conoscere o meno.

E' mattina, mi alzo, con grande fatica e vado al cesso. Mi guardo nudo allo specchio, mi piaccio. Avrei bisogno di fare uno sport che mi sviluppi un po il busto ma con sto cazzo di lavoro è impossibile, troppo tempo che vola. Prima di sedermi sulla tavoletta cerco di tenerla ferma perché è ovviamente rotta.
Dopo alcuni minuti di dormiveglia, mi rialzo, tiro l'acqua e mi butto addosso i 4 vestiti che odorano già di grasso e lavoro.

Portafoglio, caricabatterie e cellulare. Via, si esce dalla stanza per una nuova giornata di sopportazione. Faccio a piedi i 100 metri che m dividono dal baretto dall'altra parte della strada ed eccomi a salutare, come ogni fottuta mattina la barista rumena.
-Buon dì-
-Ciao Damiano! Non so cosa tu abbia fatto stanotte, ma hai bisogno di un doppio caffè secondo me-
-Naa, fammi il solito te nero va-
-Te nero? ok, come vuoi. E sempre brioche alla cioccolata no?-
-Esatto. Senti un po', ma la ragazza che lavorava qui e che studiava da infermiera questa estate?-
-Ah, Francesca (credo si chiami così, non ricordo), ha fatto qui solo la stagione estiva..-
-Oook, perfetto.-

Finisco la colazione sotto lo sguardo del titolare che camminando avanti e indietro mi invita senza dirlo a darmi una mossa, cosa che gentilmente ogni mattina declino per una calma interiore precipua.

-Buon dì nuovamente e buon lavoro-
-Ciao Damiano, anche a te!-

Stop.

Se fossi Arturo avrei una vita sicuramente più avventurosa, ma sono solo Damiano, e sono reale.

Io sono Damiano,
e questa, è la mia vita.

D.G.

venerdì 7 novembre 2014

Rapito

Un'attimo, ed eccoti lì.
Non capisco cosa,
non capisco come,
Ma giuro, eran splendidi.

Li vedevo come ebano,
librasi ad ogni tocco,
loro si, volavano,
liberi, senza nemmeno un fiocco.

Mi hai rapito,
è stato un attimo,
mi hai colpito,
dentro si, son ancora livido.

Mi son innamorato,
ma ti ho persa,
ti ho guardata, 
Dio, eri immensa.

Erano fluenti,
e m'hanno ucciso,
virenti,
illuso.

Castani come pece,
lunghi come torrenti,
belli come la neve,
splendenti come un'eclissi.

Con la coda m'hai visto,
e non hai smesso.
Ad ogni occhiata io,
ne capivo il nesso.

Ti sei alzata,
l'uscita era la tua destinazione.
Ma, devo essere sincero,
la tua breve presenza, 
ne è valsa tutta l'emozione.

D.G.

sabato 1 novembre 2014

Volontà negata

Ogni cosa, ogni decisione, prima di farla sembra un'impresa colossale, una montagna impossibile da scalare; tanto da rendere chi c'è riuscito prima e chi è 'arrivato', secondo il nostro personale relativo concetto di 'arrivare', dei miti.

Forse tutto inizia dal dubbio, non mi sono mai soffermato a riguardo, ho sempre saltato questo punto, del perché ci sia la necessità di una azione, per arrivare direttamente all'azione stessa.
Ogni volontà, in fondo, la si può mettere alla stregua di un passo, si, un semplice passo che non farà altro che impreziosire il nostro cammino; qualsiasi finale abbia.

E come ogni passo, ogni azione ha di fronte a sé diversi ostacoli, tanti ostacoli, alcuni nemmeno li consideriamo a volte, ma loro sono lì ben presenti.
Se si parte dall'inizio il concetto stesso di passo e qualcosa di puramente dinamico, qualcosa che non lascia spazio alla staticità, qualcosa che ti obbliga a non prevedere il futuro dello stesso.

Scelto quindi se buttarsi o meno da una condizione posata ad una senza appigli, con ognuno i propri pro e viceversa, si passa allo step successivo, liberarsi della stabilità dei due piedi per lasciarsi alla mercé di un piede, uno solo, e provare a bilanciare il proprio corpo in modo ad adattarsi a qualcosa che forse non è nostro, ma che certamente è necessario in quanto attimo di transizione. E così alziamo un piede, impostiamo i muscoli del corpo, spostiamo i vari baricentri e letteralmente cominciamo a volare; metà cielo metà terra, il tutto sotto i nostri piedi. Ecco cosa significa forse buttarsi, provare l'ebbrezza del volo, per un attimo. L'idea del non essere legati a nulla ma essere padroni di tutto. Quale tutto? Noi stessi, noi siamo il tutto.

Ed è così che poi arrivati a metà strada, ci troviamo con un piede ben posato e ancora più fermo di quanto fossero tutti e due assieme prima ed uno che, leggero, copre con una falcata uno spazio celeste. Il frangente perde quasi importanza, oramai hai alzato il piede, oramai sei in bilico, oramai tutto è in gioco, tanto vale non considerare troppo quello che potrebbe essere; è essenziale portare alla fine l'opera. D'altronde le cose vanno pensate prima.., ma come abbiamo detto poc'anzi, non tutto può essere calcolato. Alle volte basta anche solo il concetto di volere per realizzare quanto pensato. 

Prima di continuare fermiamoci un attimo. Avete mai ragionato su cosa è un pensiero? Un semplice pensiero, un qualcosa di così comune che ci da, assieme all'intelligenza, modo di formare e dare vita ai nostri stessi concetti.
Tutto nasce da questo..
Tornando al discorso cardine, più precisamente al nostro passo eravamo in volo e come ogni aereo che si rispetti, anche per il nostro piede questa fase è quella più difficile. Sta tutto nell'impostare la traiettoria, stringere la caviglia, alzare la punta, indurire il tallone e via, lasciarsi cadere ed accogliere dalla terra. La terra, cosa stupenda senza la quale saremmo perduti. Intanto, dopo questo lavorio, eccoci verso un altro stato. Staticità-dinamicità-staticità. è un continuum, una sequenza di stati forzati, doverosi ed impossibili da non compiere.

Come fare a dire se essere meglio uno o l'altro?
Impossibile, impossibile dirlo ma non è impossibile affermare la necessità di questi stati per la nostra crescita.
L'importante che queste volontà non siano forzate, ma che siano un flusso, un flusso di consapevolezza, quella maledetta consapevolezza che ti prende l'anima e te la fa a pezzi. In nome di cosa però?

Non lo so, sto cercando di capirlo. 
Nel frattempo, provo a fare qualche passo, ma sotto i miei piedi sento solo il vuoto.

D.G.